“Abbiamo gambe, abbiamo denti, abbiamo braccia, che si azzardi uno a venire a morderci, che venga uno a mordere Franz. Lui ha due braccia, due gambe, ha muscoli e ti riduce tutto in frantumi. Imparate a conoscerlo, Franz, non è un pulcinella. E quel che abbiamo lasciato dietro e quello che ci aspetta ancora, venga chi vuole e se lo porti via; noi ci beviamo sopra un bicchiere, due bicchieri, nove bicchieri.
Non abbiamo gambe, ahimè, non abbiamo denti, non abbiamo occhi, non abbiamo braccia e chiunque può venire a mordere Franz che è un pulcinella, ahimè, non sa difendersi,non fa altro che bere.”
Questo romanzo è il mio feticcio. Un’ossessione generata da una ancora più grande, quella per Fassbinder, su cui tornerò a gamba tesa. Ma ora Alfred Döblin. L’unico che riesce a fare un romanzo criminale senza fare apologia di reato, eppure un romanzo epico, in cui un criminale è un eroe, ma un povero eroe, feroce, di quelli che ti strangolano se non stai attento, ma che potresti uccidere con una parola sbagliata. Ancora oggi, dopo averlo letto e riletto, Berlin Alexanderplatz resta un mistero. Come fa Döblin a fare quello che fa? A irretire così il lettore senza darlo a vedere? Alla fine della lettura si resta mezzi morti, stesi dal finale geniale. Hanno tormentato Döblin con la storia che il flusso di coscienza lo aveva copiato da Joyce. Lui, però, L’Ulisse non l’aveva nemmeno letto quando ha cominciato a scrivere. Se anche lo avesse fatto, siamo su un altro pianeta. Perdoniamoli perché non sanno cosa dicono, o cosa hanno letto.
Leggete il romanzo e anche la splendida introduzione di Walter Benjamin
Berlin Alexanderplatz, Alfred Döblin, 1929
#archivio#letture#immaginario#congetturesujakob