“Oh, com’era affascinante! Come si divertiva! Come le piaceva stare lì seduta a guardarsi intorno! era come a teatro. Era esattamente come a teatro. Chi l’avrebbe creduto che il cielo sullo sfondo non era dipinto?”
In una domenica sfavillante, una signora attempata, esperta nell’arte di ascoltare, siede sulla panchina di una piazza, con indosso il suo capo migliore: un caro vecchio collo di volpe. Mente è in attesa di ricevere un saluto affettuoso dal mondo ne resta, invece, irrimediabilmente ferita. Il colpo inferto opera su di lei un triste incantesimo. Di colpo il suo tremulo sorriso si estingue, le tenere gocce musicali che impregnano l’aria si dileguano, il soffice adagio che l’aveva accompagnata nella sua uscita domenicale impietrisce. Negli occhi del prossimo, al cui sguardo la donna si è offerta, il suo dolce volto disarmato assume le sembianze di un grottesco muso di scimmia. La nobile pelliccia si tramuta in ridicolo merluzzo fritto, e il mondo si restringe. Il mondo diviene una stanzetta buia come il fondo di un armadio, dove la donna piangerà, con l’unica compagnia del suo collo di pelliccia, come lei deriso, spezzato, mutato per sempre dalla nuda verità dell’incontro con l’altro. Katerine Mansfield e “Miss Brill”, una delle sue più strazianti epifanie.
“Miss Brill”, Katherine Mansfield, 1920
Dei suoi racconti vi invito a leggere subito anche: “Aneto piccante”, “The garden party”, “Bliss” e “L’aloe”.
Ma leggeteli tutti, che è meglio.
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