“Fredda, innaturalmente fredda e distante, pensò lui. Oppure solo profondamente timida? Eunice non era timida. Né aveva voltato le spalle al bambino perché aveva paura del libro. Non direttamente, almeno. La risposta era semplice: a lei i bambini non interessavano affatto. Sarebbe forse più giusto dire che non le interessavano i bambini perché esistevano i libri di battesimo. Le parole stampate o scritte rappresentavano una minaccia. Ne rifuggiva. In lei c’era un solo pensiero fisso: tenersi lontano dai libri e da tutti quelli che glieli mostravano. L’abitudine di sfuggire si era radicata in Eunice. Non ne era neppure più consapevole. Il calore degli affetti e degli entusiasmi si era spento. Isolarsi era diventato così un impulso naturale e non si era resa conto che aveva cominciato a farlo solo per allontanare da sé la carta stampata e tutto ciò che era scritto. L’analfabetismo aveva inaridito i suoi sentimenti e atrofizzato la sua immaginazione. E questa autodifesa ossessiva aveva disturbato, come dicono gli psicologi, la sua capacità di occuparsi dei sentimenti altrui.”
Un segreto che rende deformi. Un romanzo giallo che inizia con la sua completa risoluzione. Tutto è detto nelle prime righe: il colpevole, la vittima, l’assenza di un movente comprensibile, la ragione inesplicabile che ha portato a un orrendo fatto di sangue. Eunice Parchman ha sterminato una famiglia, perché non sapeva leggere, perché non sapeva scrivere. È la storia di come si diventa di pietra, di come, in quanto pietra, si finisce per usare se stessi per colpire l’altro, quell’altro che non sappiamo avvicinare, lo stesso che a sua volta non sa accerchiare la nostra resistenza a ogni tipo di contatto, non sa fare altro che accertare come sia immutabile la nostra consistenza dura e inanimata. Come ogni processo di pietrificazione esistenziale anche quello di Eunice Parchman, la protagonista, ha carattere di reversibilità, ma Eunice, scarsa di immaginazione e così a lungo raggelata dalla paura da essere incapace anche solo di ipotizzare un cambiamento, non lo sospetta neppure. Ruth Rendell è bravissima a scegliere per questa donna, così ossessionata dal terribile segreto dell’analfabetismo, la peggiore famiglia possibile. Dei colti e ben disposti privilegiati che, almeno all’inizio, tentano goffamente di farla sentire parte della famiglia, senza capire che proprio la loro natura di “gente cresciuta dritta”, come direbbe Theodor Fontane, offende in lei cioè che è guasto, deforme, fino a farlo urlare e infuriare.
“Eunice Parchman sterminò la famiglia Coverdale perché non sapeva leggere, perché non sapeva scrivere. Non c’era movente, non ci fu premeditazione: non ottenne denaro né sicurezza. Unico risultato del delitto fu che non solo una famiglia e un villaggio, ma l’intera nazione seppe dell’analfabetismo di Eunice Parchman. Per sé non ottenne niente, se non la rovina totale.” è il bellissimo incipit del romanzo, con il quale Ruth Rendell ci regala un’assassina selvaggia e una vittima predestinata, che sono la stessa sgradevole donna. Feroce, inerme, indimenticabile Eunice Parchman.
Del romanzo ci sono diverse versioni cinematografiche. Una di Chabrol, “Il buio nella mente” che mi sembra renda onore al romanzo, con Sandrine Bonnaire nella parte di Eunice e Isabelle Huppert nella parte della sua “socia” squilibrata, che la aiuterà a commettere la strage.
Poi c’è una versione americana di cui ricordo solo che il film, come nel libro, è ambientato durante la festa del ringraziamento, e a un certo punto arriva un tacchino che spruzza sangue. Splatter e involontariamente comico, ma se vi capita perché no?
“A Judgement in Stone” (La morte non sa leggere), Ruth Rendell, 1977