LINDA – Cerca di riposare. Vuoi che ti canti qualcosa?
WILLY – Sì, cantami qualche cosa. Quando entrò in campo la sua squadra – lui era il più alto, ti ricordi?
LINDA – Oh, sì. Sembrava d’oro.
WILLY – Come un giovane Dio. Apollo – una cosa così. E il sole, attorno a lui tutto il sole. Come mi salutava col braccio, ricordi? Dal centro del campo, coi capitani delle altre squadre? I clienti che riuscii a portare quel giorno! E le acclamazioni quando uscì – Loman, Loman, Loman, Loman! Dio onnipotente, diventerà qualcuno, quel ragazzo, vedrai. Una stella meravigliosa come la sua non tramonta!
LINDA – Willy, caro, perché ce l’ha tanto con te?
Willy Loman fa il commesso viaggiatore e non ha riguardo per il suo cervello, lo tiene sempre sotto pressione. Qualcosa lo tormenta: è un uomo che viene costantemente umiliato. La moglie lo fa con il suo amore, materno, carico d’ansia, privo di fiducia, con i suoi continui: Willy, che ti è successo, Willy? Riposa, stai tranquillo, Willy.E poi ci sono i figli, Happy e Biff, i ragazzi. E Biff, il litigioso, lui in particolare lo umilia, con il suo fallimento, perché non ha fatto i soldi, non ha trovato la sua strada, non è diventato qualcuno, Biff che è sempre in collera con lui. Di questo Willy non sa darsi pace, di tutte le promesse fatte dalla vita a quel suo figlio così sveglio e dotato, tutte quelle promesse, quelle speranze ben riposte che non sono sbocciate, le speranze del passato. Il passato, ecco, è proprio il passato a umiliarlo più di ogni altra cosa. Il passato invadente che lo segue ovunque, che entra nelle sue giornate e si alza sopra di lui, un’onda onnipresente di rammarico e malinconia che lo attraversa di continuo fino a fargli perdere la ragione. Perché il passato era bello, Willy era bello, e simpatico, piaceva alle donne, vendeva qualsiasi cosa. E Biff stravedeva per lui, e lustrava la sua Chevrolet rossa. Ma adesso Willy parla da solo, Biff lo odia, e lui parla da solo, di continuo, di Biff, del passato, che ormai è dentro al presente, fino a non saperli distinguere più. Willy Loman è qualcuno che nel passato fruga di continuo per capire dov’è quella cosa a cui non ha fatto caso, quella cosa già accaduta che allora sembrava niente e che poi è diventata il fallimento di Biff, la cosa che più lo umilia, di cui non si dà pace, di cui, in fondo lo sa anche lui, Willy è responsabile. Non si può non amare Willy Loman, il fanfarone, il papà sempre preoccupato, il marito impossibile, la bestia da soma sempre a sfiancarsi di lavoro a bordo di un’auto che quasi non sa più guidare, il venditore di cui alla fine non rimane che una mente confusa che non sa più distinguere oggi da ieri e che un domani non ci sarà. Perché tutto è ormai troppo per lui, anche se fino alla fine continua a ripetere: ho fatto bene, ho fatto bene, ho fatto bene. Un dramma sull’umiliazione che il passato impone a un uomo, e a tutti noi che partecipiamo alla sua storia, una tensione interna al racconto inarrivabile per tanti e tanti drammaturghi di ieri e oggi. Impossibile qui districare il tema dall’argomento perché nessuno dei due esiste nel momento in cui viene narrato, tutto è già accaduto e continua ad accadere, contemporaneamente. E oltre a tutto questo è impossibile non chiedersi fino alla fine: Biff odia suo padre perché la sua vita è stata un fallimento oppure la sua vita è stata un fallimento perché odia suo padre? Entrambe le risposte sono esatte.
Morte di un commesso viaggiatore, Arthur MIller, 1949
C’è una canzone di Piero Ciampi che inevitabilmente mi fa venire in mente la cialtronaggine di Willy Loman. (Te lo faccio vedere chi sono io) E mi fa anche venire il magone dei magoni, ma la amo.
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