“Sebbene è spento nel mondo il grande e il bello e il vivo, non ne è spenta in noi l’inclinazione. Se è tolto l’ottenere, non è tolto né possibile a togliere il desiderare.”
“…la grazia ha successione di parti, anzi non si dà grazia senza successione. Quindi veduta una parte resta desiderio e speranza delle altre. Perciò la grazia ordinariamente consiste nel movimento: e diremo così la bellezza è nell’istante, e la grazia nel tempo.”
“Erano illusioni, ma toglietele, come sono tolte. Che piacere rimane? e la vita che cosa diventa?”
Una raccolta di definizioni: del mondo dei sentimenti, di come funzionano le cose, di cosa sono, di come sono composte e di come vengono dette, di come andrebbero nominate. Perché proviamo stupore, piacere, cosa si nasconde dentro il nostro orgoglio, quali sono le fatali ferite dell’amor proprio e come curarle, in cosa consiste la grazia, perché non possiamo sfuggire alla seduzione di un piacere indefinito, perché siamo finiti, e cosa voglia dire essere finiti con desideri indefiniti. Potrei continuare e non smettere mai, perché non c’è cosa, davvero, su cui Leopardi non abbia riflettuto, tra queste pagine, perché Lo Zibaldone è vasto, sublime, sempre in movimento. Tutto questo, più di un diario, poco meno di una sorprendente enciclopedia, è fondante. Tutto quanto abbiamo di Leopardi è nato tra queste pagine e qui continua a respirare, a muoversi, a dubitare di se stesso, prima di diventare l’opera che conosciamo. Il primo dei miei mentori morti, il più autorevole, mio in virtù di tutte le volte che l’ho interrogato. Ti toglie ogni speranza e ti dice che la speranza, che tu lo voglia no, tornerà. Ti parla di quell’insufficienza della vita di cui soffriva la Bovary esplorandola tutta con una determinazione così mostruosa da farti impallidire per quanto la riconosci tua. Ti strappa via le illusioni ma senza sussiego, ti dice di metterti al lavoro e come fare, ti spiega il mondo ma non come fosse una lezione. qui Leopardi ti lascia entrare nella sua testa proprio mentre sta cercando di capire. Questo sforzo di capire e nominare, questa esortazione a indossare l’abito della fatica, ad attendere al proprio compito, questo è il più grande insegnamento che abbia mai ricevuto in vita mia, ed è tutto qui. Non è un testo che si può leggere o studiare per sostenere un esame all’università. Questo testo è l’esame. Il mentore domanda: sei abbastanza vivo, e curioso, e sprovveduto e alla ricerca di domande, e con felici barlumi di volontà di ricerca, da metterti in sintonia con il mio pensiero? Allora benvenuto.
Lo Zibaldone, Giacomo Leopardi, 1898-1900