Sì, “After life” avrà anche un finale dolce, per alcuni troppo dolce, ma se prima di questo dolce finale, così riconciliante, tu fai fare al personaggio una cosa come dare a un tossico i soldi per andare in overdose e farla finita con la vita, se a quel personaggio, che è un buono, non un idiota, dai delle battute divertenti da morire in cui lui è assolutamente cinico, onesto con il suo dolore e quindi poco propenso alle cazzate, ecco io allora alla fine sono pronta anche a pendermi questo finale, che non sarà verosimile, ma mi scalda dentro. Si chiama narrazione contro – tematica. Chi la sa fare evita di mettere delle insegne luminose al neon sopra al personaggio per avvisare e chiarire oltre ogni ragionevole dubbio che il personaggio è buono, buonissimo, e quindi finto. La buona narrazione il dubbio lo coltiva, perché la dimensione del dubbio è sexy, è realistica, è la cosa con cui dobbiamo imparare a convivere dal primo istante in cui apriamo gli occhi in questo mondo. Ricky Gervais non mi ha deluso neanche un po’, non lo fa mai.
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