Scrivere 0.1 – Cominciare

Ecco un’amara, scomoda, verità, qualcosa con cui noi, che vogliamo dire di avere una storia tra le mani, noi che scriviamo, dobbiamo fare i conti: alla fine questa storia, quella che abbiamo tra le mani, di cui sappiamo tutto, di cui tutto abbiamo detto al mondo, la storia che preme alle porte della nostra vita nascosta, o sulle pagine dei nostri taccuini, se siamo stati  tanto ligi al dovere da averne annotato i palpiti intermittenti, la storia da cui ci separa solo la volontà di scriverla, quella, se non poi non la scriviamo, ecco, quella storia non esiste. Prima o poi, ognuno di noi, o quasi, questa cosa finisce per capirla. Non è un bel momento. Ecco il dramma complicato che ci vede protagonisti: sogni come cigni selvatici, direbbe Ibsen, difficili da domare, impossibili da addomesticare, sogni superbi, ma, appunto, sogni. Qui, invece, si tratta di SCRIVERE. Quindi, come promesso, ecco la mia rubrica: non un corso ma una raccolta di atteggiamenti d’autore e pratiche di scrittura. In ogni puntata: un brano (da romanzi, racconti, drammaturgia, sceneggiatura) e una riflessione su un aspetto specifico della scrittura. Niente lezioni o cassette degli attrezzi, nessuna ricetta, zero ingredienti. Fine della premessa. Per iniziare come si deve partiamo proprio dal principio, dalla tentazione di scrivere un romanzo perfetto, e bello, e perfetto, perfetto e autentico, autentico e maestoso, maestoso e inattaccabile, superbo, impeccabile, qualcosa che, forse, vive solo in un luogo inaccessibile a chiunque: la nostra testa. Sì, la tentazione di scrivere libri nella propria testa e di lasciarli lì può essere forte e io, ma io vi consiglio di leggere subito questo racconto di Patricia Highsmith: “L’uomo che scriveva libri mentalmente”. Qui farete la conoscenza con un uomo che, dopo un primo rifiuto editoriale, continua a ritirarsi ogni giorno nel suo studio e a scrivere, nella sua testa, un romanzo dopo l’altro. Sono tutti romanzi magnifici e incancellabili, perché non esistono. E. Taylor Cheever è un uomo felice e appagato, lui è davvero soddisfatto delle sue creature, sicuro e soddisfatto, e orgoglioso. Non teme stroncature o pareri parziali, la sua produzione di storie, tutte pensate e rifinite al dettaglio nello spazio della sua mente, va a gonfie vele. E. Taylor Cheever è furbo, è  un uomo sveglio, e ha trovato il modo di fuggire il senso di inadeguatezza che ti prende quando inizia a scrivere qualcosa, la frustrazione che ti raggiunge quando non vieni compreso, la disillusione che si impadronisce di te quando ti accorgi che in fondo non è che il tuo mondo o quello degli altri sia cambiato poi così tanto dopo l’uscita del tuo romanzo. No, E. Taylor Cheever non verrà mai afferrato da queste sensazioni spiacevoli, da queste scocciature. Ma il ridicolo sì, quello lo raggiungerà, anzi ci vivrà immerso dentro, senza accorgersene, fino alla fine dei suoi giorni. E. Taylor Cheever è un uomo felice ma io non lo invidio, e voi? Che la sua storia vi sia d’esempio. Ecco un estratto del racconto:

E. Taylor Cheever scriveva libri mentalmente, e non li metteva mai sulla carta. Quando morì, a sessantadue anni, lasciò un corpus di quattordici romanzi, che comprendevano centoventisette personaggi diversi di cui si ricordava alla perfezione.

Andò così: Cheever a ventitré anni scrisse un romanzo intitolato La sfida eterna che fu rifiutato da quattro editori londinesi. Cheever, che a quei tempi era redattore aggiunto di un quotidiano di Brighton, diede in lettura il manoscritto a tre o quattro giornalisti e ad alcuni critici amici, che gli risposero suppergiù nello stesso tono brusco delle lettere di risposta degli editori londinesi: “I personaggi non sono sviluppati a sufficienza… i dialoghi sono artificiosi… il tema è confuso…Se vuoi che ti dica sinceramente cosa ne penso, ti dirò che non hai nessuna speranza che venga pubblicato, anche se ci lavorassi su di sana pianta…È meglio che questo te lo scordi, e ne cominci un altro”

Cheever aveva impiegato il poco tempo libero che era riuscito a strappare in due anni per scrivere il romanzo, ed era quasi giunto al punto di mandare all’aria il suo fidanzamento con Louise Welldon poiché le dedicava ben scarse attenzioni. Tuttavia, dopo il diluvio di stroncature ricevute dal suo libro, si fece coraggio e qualche settimana dopo la sposò. (…)

Acquistarono allora una bella casetta in città, a Cheyne Walk, e la arredarono coi mobili e i tappeti ricevuti in dono dalle rispettive famiglie. Nel frattempo Cheever pensava al suo secondo romanzo, e stavolta voleva che fosse perfetto ancor prima di mettere una sola parola nero su bianco. Ne era geloso al punto di non confidare nemmeno a Louise né il titolo né l’argomento e neppure discusse con lei uno qualsiasi dei suoi personaggi, sebbene avesse ben chiari in mente ognuno di loro, gli ambienti, le manie, i gusti e l’aspetto fisico compreso il colore degli occhi. Il suo prossimo libro sarebbe stato un capolavoro di scrupolosa esattezza, il tema avvincente, i personaggi vivi e autentici e i dialoghi stringenti ed efficaci.

Si metteva a tavolino quattro ore al giorno nel suo studio a Cheyne Walk, saliva dopo colazione e ci rimaneva fino all’ora di pranzo, poi tornava su fino all’ora del tè o della cena come fa qualsiasi scrittore quando lavora, ma a tavola non si lasciava sfuggire nemmeno un cenno delle sue reazioni, se si eccettua un 1877+53 e un 1939-83. Conti che gli servivano per rinfrescarsi la memoria sull’età o la data di nascita di alcuni personaggi. Mentre era immerso nei suoi pensieri, lo si udiva mormorare sommessamente.

Il libro, che aveva intitolato Il giocatore d’azzardo (ma nessuno lo sapeva tranne lui) gli prese ben quattordici mesi per rosolarlo e rifinirlo a puntino nella sua mente.

“L’uomo che scriveva libri mentalmente”, Patricia Highsmith dalla raccolta “Schegge di vetro” (Bombiani1998) traduzione di Enrico Groppali

“Slowly, slowly in the wind”, Patricia Highsmith, by William Heinemann Ltd, 1979

Dimenticavo: che Scrivere sarebbe se non vi spingessi a farlo alla fine di ogni puntata?

Quindi prendete in mano qualcosa che avete scritto o pensato e poi messo da parte in attesa che fosse perfetto nella vostra testa e tirate giù una prima stesura senza mollare fino al traguardo delle prime tre cartelle. Sarà una prima stesura immonda, fiacca, stonata e impresentabile come tutti i primi tentativi, ma questa piccola brutta cattiva cosa sarà comunque meglio di una delle altisonanti balle che E.Taylor Cheever ha raccontato a se stesso e ai suoi cari. Ciao alla prossima.

Pubblicato da Emanuela Cocco

Emanuela Cocco, editor e autrice

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